mercoledì 14 novembre 2012

STORIELLA ZEN...

 Avaro nell'insegnare.


Un giovane medico di Tokyo, un certo Kusuda,incontrò un compagno di università che aveva studiatolo Zen. Il giovane dottore gli domandò che cosa fosselo Zen.«Io non posso dirti che cosa sia,» rispose l'amico, «mauna cosa è certa. Se capisci lo Zen, non hai più pauradi morire».«Questo è molto bello» disse Kusuda. «Voglio provarci.Dove posso trovare un insegnante?».
«Va' dal maestro Nan-in» gli disse l'amico.
Così Kusuda andò a trovare Nan-in. E per appurare se
l'insegnante avesse a sua volta paura di morire, portò
con sé un pugnale lungo una ventina di centimetri.
Quando Nan-in vide Kusuda esclamò: «Salve, amico.
Come stai? Non ci vediamo da un pezzo!».
Quest'accoglienza sconcertò Kusuda che rispose: «Noi
non ci siamo mai visti».
«E' vero» rispose Nan-in. «Ti ho scambiato per un altro
medico che viene a studiare qui da me».
Dato l'esordio, Kusuda perse l'occasione di mettere alla
prova il maestro, e così, con riluttanza, gli domandò se
poteva prendere lezioni di Zen.
Nan-in disse: «Lo Zen non è una cosa difficile. Se sei
medico, tratta i tuoi pazienti con bontà. Lo Zen è
questo».
Kusuda andò tre volte da Nan-in. Ogni volta Na-in gli
disse la stessa cosa. «Un medico non dovrebbe perdere
tempo qui da me. Va' a casa tua e prenditi cura dei
tuoi pazienti». Ma Kusuda ancora non capiva come
questo insegnamento potesse abolire la paura della
morte. E la quarta volta proruppe: «Il mio amico mi
aveva detto che quando uno impara lo Zen non ha più
paura di morire. Ogni volta che vengo qui tu mi dici di
prendermi cura dei miei pazienti. Questo lo so. Se il
tuo cosiddetto Zen si riduce a questo, è inutile che
continui a venire da te».
Nan-in sorrise e batté la mano sulla spalla del dottore.
«Sono stato troppo rigido con te. Ora ti darò un koan»
(I koan erano problemi. o piuttosto «sfide interiori»
che i maestri proponevano ai discepoli per metterli alla
prova. "La porta senza porta", ovvero "Mu-mon-kan",
è un testo classico Zen, attribuito al maestro cinese
Ekai, detto anche Mu-mon, che visse dal 1183 al 1260).
E propose a Kusuda di studiarsi il Mu di Joshu, che è il
primo problema illuminante nel libro detto "La porta
senza porta".
Kusuda meditò per due anni su questo problema del
Mu (Niente). Infine pensò di avere raggiunto la
certezza della mente. Ma l'insegnante commentò: «Non
ci sei ancora».
Kusuda continuò la sua meditazione per un altro anno
e mezzo. La sua mente diventò serena. I problemi si
risolsero. «Niente» divenne la verità. Egli curava bene i
pazienti e, senza nemmeno saperlo, era libero da ogni
preoccupazione sulla vita e sulla morte.
Allora, quando tornò da Nan-in, il suo vecchio
insegnante si limitò a sorridere.

lunedì 11 giugno 2012

Le distorsioni cognitive




Le distorsioni cognitive ... 




Cosa si sta pensando, determina in gran parte le nostre reazioni emotive e comportamentali in una certa situazione. 
L’uso di particolari modi di valutare la realtà e di ragionare, detti “distorsioni cognitive”, contribuisce a creare pensieri disfunzionali e quindi ad alimentare stati d’animo negativi.
Tutti noi commettiamo errori di ragionamento, perché quando dobbiamo prendere una decisione o attribuire la causa a qualche evento, la conclusione a cui arriviamo non deriva da una dettagliata analisi logica di tutti gli elementi e le variabili che possono avere influenzato la situazione. 
La nostra mente funziona su un principio economico per cui cerca delle scorciatoie, si basa solo su alcuni elementi, salta alle conclusioni, invece di usare una logica ferrea, in ogni momento, in ogni situazione.
Gli errori di ragionamento possono causare problemi, quando vengono usati sistematicamente, con intensità, allora producono pensieri costanti disfunzionali, cioè pensieri poco realistici e determinano sofferenza emotiva. 
Le distorsioni cognitive possono essere riconosciute nel nostro flusso di pensiero, il dialogo interiore, e modificate allo scopo di riformulare pensieri più realistici, adattivi e funzionali al nostro benessere.
Proviamo insieme a vedere quali sono i passi fondamentali da svolgere:

1° Passo: Ascoltare il proprio monologo interno.
È importante che si ponga attenzione a ciò che io mi dico e non solo a ciò che dice l'altro. Ci si può aiutare tenendo un diario dei propri pensieri.
Cominciando ad osservare i pensieri e le emozioni che determinano le reazioni, si può cominciare a capire che alla base di un nostro comportamento non c'è solo una risposta al comportamento dell'altro ma anche un'idea iniziale preconcetta.

2° passo: identificare le proprie distorsioni cognitive
Una volta che si comincia a osservare il proprio dialogo interno è possibile cominciare ad indagare sulle proprie distorsioni cognitive. Le distorsioni cognitive più comuni che hanno maggiore impatto sulle relazioni interpersonali sono:
Il pensiero dicotomico (o tutto o nulla): una situazione o è un successo oppure è un fallimento, non esistono gradi intermedi, se una situazione non è perfetta è un completo fallimento (ad esempio, "Se non ho almeno 28 a tutti gli esami abbandono l'università?").
L’ipergeneralizzazione, il fare, come si dice, "di tutt’erba un fascio", un evento negativo non è semplicemente qualcosa che in quella circostanza è andata male, ma è la prova che la vita è fatta solo di eventi negativi. 
L’astrazione selettiva (o filtro mentale) , cioè il puntare l’attenzione su di un solo aspetto (negativo) di una situazione ignorando tutto il resto (positivo) (ad esempio, il professore loda l’elaborato e suggerisce alcune modifiche marginali e questo viene vissuto come un giudizio negativo su tutto il lavoro senza tener conto dei giudizi positivi).
Il minimizzare i lati positivi: le cose positive sono in contrasto con la visione negativa e vengono perciò minimizzate, attribuite al caso o all’educazione, alla gentilezza degli altri ("era una cosa secondaria ... per una volta ho avuto fortuna ... lo dicono per educazione, perché certe cose non si dicono in faccia ...").
L’inferenza arbitraria, il saltare, cioè, alle conclusioni partendo da premesse che in realtà non giustificano tali conclusioni. Ad esempio, se il soggetto vede un conoscente che attraversa la strada prima di incrociarlo, penserà "Non ha voluto incontrarmi". In questo caso è in atto una seconda distorsione cognitiva:
la lettura del pensiero, ossia, essere convinti di sapere cosa pensa l'altra persona, senza prove che ne confermino questa convinzione.
La catastrofizzazione: il giudicare gli eventi negativi come intollerabili catastrofi, una brutta figura viene vissuta come una cosa terribile, un’umiliazione intollerabile.
Il ragionamento emotivo, il considerare, cioè, le reazioni emotive come prova di qualcosa ("Mi sento spaventato, questo vuol dire che la situazione è veramente pericolosa").
La doverizzazione: il giudicare se stessi e gli altri sulla base di ciò che uno "dovrebbe" comportarsi o sentire ("Se è un amico, deve stimarmi, perché bisogna stimare gli amici"). (Devo vivere una vita serena e positiva).
L’etichettamento: il definire le cose con un’etichetta globale invece che facendo riferimento a cose specifiche, come ritenersi "un fallimento" piuttosto che ammettere di essere incapaci di fare una cosa specifica.
La personalizzazione, il ritenere se stessi responsabili di qualcosa di cui, in realtà, sono soprattutto responsabili altre persone o altri fattori.

3° Passo: Considerare le relazioni tra pensieri e comportamenti
Osservando quotidianamente il proprio dialogo interno, evidenziando le distorsioni cognitive e ile emozioni che ci caratterizzano possiamo cominciare a chiederci: "cosa mi dico quando mi sento in questo modo?", "quando agisco in questo modo?"

4° Passo: Sfidare e cambiare le distorsioni cognitive
Una volta riconosciute le distorsioni è utile esercitarsi per modificarle. Anche se è un lavoro difficile e non si è supportati da uno specialista, si può ricorrere ad un elenco di domande per metter indiscussione le distorsioni cognitive.
Vediamole:
Quale evidenza è a favore della mia interpretazione?
Quale evidenza potrebbe essere contraria alla mia interpretazione?
C'è una spiegazione alternativa per il comportamento del mio partner?
Ci sono altri motivi o sensazioni che possono averlo spinto ad agire in quel modo?
Quello che penso è sempre vero o ci sono eccezioni?
Se sto generalizzando o etichettando, posso descrivere la situazione in modo più accurato e specifico?
Posso riformulare una parte del mio dialogo interno tenendo conto delle informazioni acquisite attraverso queste riflessioni?

giovedì 26 aprile 2012

L’ACCETTAZIONE: psicologia & meditazione

                   
Accettare la sofferenza è la via della guarigione.
Affermazione paradossale, se io soffro ciò che desidero è guarire!

Bene, se spendiamo troppe energie per evitare di soffrire, la nostra sofferenza non farà che aumentare a  dismisura.

Se vogliamo evitare una pozzanghera, cerchiamo di alzare un piede e saltare
Non è lo stesso per le sabbie mobili. Alzare una gamba per uscire dalle sabbie mobili non fa altro che concentrare il peso del nostro corpo solo da un lato e il vuoto creato dalla gamba ci farà risucchiare ancora più giù; l’ideale non è dimenarsi ma star calmi.
E’ accertato che tentare di liberarsi dalle sabbie mobili dimenandosi e agitandosi, tipo sollevando un piede, non fa altro che far sprofondare la persona ancora più giù.
La vera salvezza si può raggiungere sopportando di stare con il fango e muovendosi tranquillamente.

E’ un po’ come chi non accetta il proprio corpo e cerca con lifting di modificarlo, sottoponendosi a stressanti operazioni chirurgiche. Dopo il lifting si sta meglio ma dopo un po’ di tempo ecco ricomparire un altro difetto da correggere. L’insoddisfazione continua e si cerca di eliminarla correggendo ossessivamente difetti che in realtà fanno parte del nostro modo di essere che ci rendono diversi dagli altri.

La soluzione? Mettersi in una posizione meditativa in cui si apre la possibilità di accettare l’ansia, il dolore, la depressione, le ossessioni, le paure. Accettando il negativo questo potrà diminuire gradualmente d’importanza. Se invece voglio combatterlo a tutti i costi, non farò altro che concentrarmi sulle mie paure, sulle mie idee irrazionali, sulle mie debolezze cercando disperatamente di eliminarle. 
Non  vivrò la mia vita perché concentrato sui miei conflitti, diventerò come loro mi vogliono e vivrò in uno stato di perenne insoddisfazione.

Se mi sforzo di non pensare a una cosa sicuramente la penserò più del dovuto.
La nostra mente non funziona come l’esperienza esterna. Se non ci piace qualcosa di esterno e concreto  l’atteggiamento più sano è quello di cercare di allontanarlo e di sbarazzarcene. Se invece non riusciamo a tollerare un nostro pensiero cercare di annullarlo non farà altro che ingigantirlo. Per i nostri pensieri non vale la regola ”non mi piace allora cerco di eliminarlo” perché i soli tentativi di “cercare di non pensarci” o “devo tentare di non pensare più a queste assurdità” non faranno altro che incrementare i pensieri relativi a quel/quei pensieri di cui vogliamo sbarazzarci.

Dunque l’unica salvezza è l’accettazione.


Mettersi nella posizione meditativa di chi accetta ciò che viene, sia il bello che il brutto.
Solo dopo aver accettato il brutto e la negatività, ne diminuiremo la forza, e solo dopo potremo iniziare a vivere la vita e a migliorare davvero.

lunedì 6 febbraio 2012

LA PROIEZIONE

Quest'articolo è dedicato al concetto della proiezione in psicologia e psicoanalisi. Che significa proiettare? Non stiamo parlando di un film ovviamente, ma di qualcosa che è nella nostra mente. Il concetto di proiezione si avvicina al famoso modo di dire: "ti stai facendo solo tanti film" nel senso: "ti stai costruendo solo mille fantasie sulla questione". 
Proiettare significa infatti attribuire ad un altro qualcosa che invece fa parte di noi e che non tolleriamo. Ad esempio sono una persona falsa e non mi piace questo mio aspetto e credo sempre che siano gli altri ad essere sempre falsi, sono litigiosa ma penso che siano gli altri a voler attacar bottone e via dicendo.
Una piccola dose di proiezione è normale, ma quando la nostra vita è pervasa da persone tutte uguali (ad esempio persone stupide, litigiose, strane, cattive) c'è qualcosa che non va. Nel patologico si può arrivare alla famosa paranoia ma nella normalità dobbiamo far attenzione a non esagerare perchè:

Proiettare le nostre Ombre...
1) se proietto continuamente sull'altro miei difetti non mi metto mai in discussione, non cresco, rimango sulle mie posizioni sbagliate;
2) la mia vita può diventare davvero faticosa da gestire emotivamente;
3) io non sono giudice del mondo, e chi giudica sempre finisce nella solitudine dei suoi giudizi;

Inutile dire che è difficile capire il confine tra ciò che fa parte di me è ciò che è dell'altro, spesso si risolve con una psicoterapia. Solitamente il paziente non mette in discussioni le proprie proiezioni, ma lamenta difficoltà interpersonali. A poco a poco vengono scardinati altri aspetti su cui agire facendogli mettere in discussione ciò che fa parte di sè.